L’ arte di sbagliare

L’ arte di sbagliare

 

Cosa significa l’arte di sbagliare?

Se intendiamo il concetto di arte nella sua accezione più antica, corrispondente all’uso greco del termine, ossia come “attività umana compiuta in base a principi razionali, appresi con l’esperienza o escogitati con l’ingegno

In che modo si collega con i nostri sbagli, errori o fallimenti?

Se, come i nostri antenati latini, con arte intendiamo “la corretta esecuzione di un opera

Esiste dunque un modo efficace ed appropriato di sbagliare?

Oppure, l’arte consiste nell’evitare di farlo?

Noi, che amiamo la vita, che lavoriamo con passione, che teniamo a svolgere al meglio il ruolo di genitore, figlio, amico, collega, dovremmo esprimere la nostra creatività nell’evitare l’errore?

l'arte di sbagliare

“Errare è umano”!

afferma una famosa massima attribuita a Sant’Agostino.

Questo significa che tendere alla perfezione è una “mission impossible”; un’aspettativa destinata al fallimento.

l'arte di sbagliare

Voglio portare all’attenzione di chi legge che il nostro potere personale si gioca nel saper approfittare dello sbaglio a vantaggio dei nostri obiettivi; nel considerare l’errore un prezioso alleato sulla strada per raggiungere i traguardi che ci diamo come persone e come professionisti.

Non potendo evitare l’errore, non ci rimane che sbagliare bene.

Imparando l’arte di sbagliare possiamo potenziare la nostra efficacia.

Non solo; possiamo porci come modello di comportamento per i nostri figli, per chi lavora con noi e, più in generale, per tutte le persone che popolano il nostro ambiente di vita.

A sostegno di questa affermazione interviene un vecchio proverbio latino: “sbagliando si impara”. Adagio frequentemente citato nella letteratura, nei corsi di formazione e nei dibattiti sull’argomento.

In linea di principio, nulla da eccepire. In teoria, sembra ovvio concordare con una simile massima. Eppure, detta così è una fake news! È un falso ideologico.

l'arte di sbagliare

Non è vero che basta sbagliare per apprendere!

Pescando dalla storia, tanto quanto dall’esperienza di vita di ognuno di noi, mille sono gli esempi di errori ripetuti; di situazioni nelle quali ciclicamente ci imbattiamo come singoli e come genere umano.

Senza andare a pescare dalla storia con la <S> maiuscola, se solo ripenso alla mia esperienza di vita, mi vengono in mente le occasioni in cui come madre ho urlato verso mio figlio Gabriele, ripromettendomi – ogni volta – di non ricaderci più; mi sono sostituita a lui, ho scelto per lui, togliendogli il potere con l’alibi di proteggerlo da pericoli o sofferenze.

Come donna, ho scelto un partner lasciandomi attrarre da determinate caratteristiche di personalità, e mi sono ritrova in una storia d’amore deludente e frustrante.

Come professionista, spaventata dalle possibili conseguenze del dire <NO>, ho accettato incarichi e mi sono resa disponibile oltre misura, andando incontro a sovra affaticamento e innalzamento dei livelli di stress.

Non so voi?

Ecco, io ho sbagliato molte volte. Poche volte invece, e solo di recente, ho fatto tesoro della mia esperienza.

Perché questo succede? Dov’è il corto circuito? Cosa non funziona?

La prima cosa da mettere in evidenza è che viviamo in una società centrata sulla performance; ispirata ad un costrutto culturale che non ammette l’errore. Il modello competitivo della società occidentale enfatizza il successo e la chimera della perfezione. L’errore è tollerato; un incidente di percorso inopportuno. Il modello culturale nel quale viviamo e lavoriamo, non lascia spazio alle sviste, agli sbagli, alle mancanze richiedendoci di apparire belli, giovani, vincenti, capaci, felici.

Questo fa sì che viviamo il lavoro, lo sport, la scuola dei nostri figli, il nostro tempo privato imbottendoci di impegni sotto la bandiera del perfezionismo.

E, quindi, quando a dispetto della dimensione ideale, la vita vera, la dimensione reale, ci mette di fronte all’inevitabile esperienza dell’errore …

ecco che d’impulso …

prima che gli altri se ne accorgano …

tendiamo a mettere in atto una serie di comportamenti finalizzati a nascondere, superare, dimenticare, allontanare da noi l’errore.

Abitudini di comportamento, apprese crescendo, che funzionano molto bene a breve termine perché abbassano i livelli di stress e l’intensità delle emozioni scomode che si accendono quando costatiamo un’imperfezione.

Strategie di coping poco utili a medio e lungo termine per sfruttare l’errore a nostro vantaggio perché non favoriscono l’apprendimento.

Per apprendere l’arte di sbagliare, vediamo quali sono i comportamenti tradizionali che mettiamo in atto in corrispondenza dell’errore

Molti di noi, di fronte a scelte importanti, restano bloccati come reazione alla paura di sbagliare. In questi casi la persona non riesce ad andare avanti, a prendere decisioni, a cambiare comportamento. Si preferisce delegare la scelta agli altri o aspettare che le cose si aggiustino da sole legando il proprio benessere e la soddisfazione dei propri bisogni alla fortuna o alla buona volontà delle persone con le quali siamo in relazione. Paradossalmente questo atteggiamento aumenta il rischio dell’errore. Ad esempio, la risposta attesa può arrivare quando ormai è troppo tardi (una scelta di carriera; diventare genitori; intraprendere un percorso di cura). Inoltre, raramente la scelta migliore per gli altri, coincide con ciò che è pienamente soddisfacente per noi.

Altra reazione comune all’errore è l’iperattività. Tale comportamento consiste nel dedicare più tempo di quello normalmente richiesto ad un’attività, facendo e rifacendo le stesse azioni, controllando e ricontrollando gli stessi passaggi. Abbagliati dalla falsa credenza o bias cognitivo, che fare di più voglia dire fare meglio, costringiamo noi stessi a lavorare oltre l’orario di contratto, chiediamo ai nostri figli di studiare il doppio dei loro coetanei, ci priviamo del tempo libero e del divertimento. Il risultato è che disperdiamo energie e risorse nell’illusorio tentativo di evitare l’errore bypassando la riflessione sulle cause del fallimento.

Tra i comportamenti inefficaci troviamo anche la “caccia al colpevole” e il “disimpegno”.

Chi ama il calcio sa bene quante volte la colpa sia dell’arbitro; ma ogni bravo allenatore è consapevole che tale atteggiamento non aiuta a vincere il campionato. Quando, in corrispondenza di una défaillance, le risorse vengono impiegate nella ricerca di un colpevole, non si investe nelle opportunità di apprendimento e nella ricerca di una soluzione. Il risultato è che, di fronte ad una situazione simile, non avendo una strategia alternativa, la persona o il team ha un’altissima probabilità di ricadere nella stessa dinamica.

Del disimpegno come strategia di coping in risposta al fallimento ci ha narrato già il greco Esopo con la favola “La volpe e l’uva”. La Volpe, non riuscendo a raggiungere il grappolo desiderato, se ne va in cerca d’altro, attribuendo la responsabilità all’uva, a suo dire “acerba”.

Questa reazione è tipica della persona che di fronte ad una difficoltà, perde interesse. Si allontana fisicamente e/o psicologicamente per evitare di confrontarsi con l’errore.

Rompiamo legami, chiudiamo rapporti professionali, rinunciamo ad un obiettivo. Il risultato è che il nostro tempo e le nostre energie anziché orientate alla ricerca di una soluzione costruttiva, vengono disperse nella fatica di dover ogni volta ricominciare da capo e fare presto i conti con l’ennesima delusione. Se questi comportamenti non funzionano, cosa fare allora?

In cosa consiste l’arte di sbagliare?

4 SONO I PRINCIPI DELL’ARTE DI SBAGLIARE UTILI A TRASFORMARE ERRORI E  FALLIMENTI  FONTE DI NUTRIMENTO PER IL NOSTRO PERCORSO DI CRESCITA PERSONALE E PROFESSIONALE.

  1. Assumere la responsabilità dell’errore.
  2. Fidarsi di poter apprendere dall’esperienza.
  3. Dare riconoscimento e modulare le emozioni che si accendono.
  4. Agire, con impegno e fatica, il cambiamento necessario per raggiungere il nostro obiettivo.

Scendiamo nel dettaglio.

Quando svolgendo le attività quotidiane ci imbattiamo in una difficoltà, un imprevisto, un ostacolo; quando ci accorgiamo di aver sbagliato o constatiamo un fallimento, il primo passo è riconoscere la nostra quota di responsabilità per l’accaduto. 

Nell’era digitale e dell’iperconnessione, è evidente che ci muoviamo in una dimensione relazionale dove tutto ciò che succede dentro e intorno a noi è frutto di una responsabilità condivisa. Se da una parte, questo significa che non è mai solo colpa nostra; allo stesso tempo, in ogni situazione problematica che nella vita ci troviamo ad affrontare, possiamo rivendicare un’area di responsabilità personale. Indipendentemente dalle dimensioni dell’area, è lì che ognuno di noi può usare il 100% di influenza per correggere l’errore e superare l’ostacolo verso il risultato desiderato.

Invece di guardare altrove, cercare il colpevole, tentare di tenere tutto sotto controllo, quello che veramente funziona è cercare di capire con curiosità e orgoglio, quale parte di responsabilità dello sbaglio è nostra e solo nostra. Lì possiamo agire; investire tempo e risorse per attivare creatività e proattività alla ricerca di soluzioni nuove.

Il secondo passo è potenziare l’autoefficacia; ossia la fiducia nelle capacità che abbiamo di apprendere dall’esperienza, di superare ostacoli noti e imprevisti; di sfruttare l’errore per sviluppare idee e strategie al fine di raggiungere il traguardo stabilito.

Autoconsapevolezza e autoefficacia da sole non sono sufficienti. Per imparare l’arte di sbagliare abbiamo bisogno della nostra intelligenza emozionale.

Quali sono le emozioni che vi capita di provare quando vi accorgete di aver sbagliato?

Quando vedete i vostri figli, i vostri affetti, gli altri intorno a voi rendersi conto di aver commesso errori, quali sentimenti si accendono in loro?

Senso di inadeguatezza, imbarazzo, senso di colpa, vergogna, rabbia, paura, frustrazione, dispiacere, delusione, rammarico …

Tutte quelle che ho elencato sono emozioni frequenti in corrispondenza di uno sbaglio o di un fallimento. Perché?

Se è vero che le emozioni, tutte, hanno una funzione adattiva, in che modo quelle emozioni possono esserci utili per far fruttare errori e fallimenti?

Possibile che emozioni spiacevoli, che ci fanno sentire a disagio e scomodi possano avere una qualche utilità ai fini del nostro successo come persone e come professionisti?

La soft skill Intelligenza Emozionale consiste nella capacità di riconoscere le emozioni che proviamo mentre le siamo provando, saperle comunicare in modo efficace alle persone con le quali siamo in relazione e abbinare ad esse un comportamento funzionale – e socialmente accettato – alla soddisfazione dei bisogni a breve, medio e lungo termine.

Quando, nello svolgimento di un compito, inciampiamo in un errore a reclamare soddisfazione possono essere bisogni legati alla sopravvivenza/sicurezza; alla necessità di sentirci amati e accettati dal gruppo; al riconoscimento sociale; oppure, ancora bisogni legati al sentirci realizzati rispetto al nostro sé ideale.

Il bisogno insoddisfatto accende una gamma emozionale fonte di distress la cui funzione adattiva è diminuire la probabilità di agire di nuovo il comportamento disfunzionale. In poche parole frustrazione, imbarazzo, senso di inadeguatezza e tutte le atre emozioni spiacevoli servono all’individuo che le sperimenta per adattarsi all’evento stressante e reagire con resilienza uscendone capace di superare l’errore e evitarlo in futuro.

Questo avviene perché le emozioni cosiddette negative, producono all’interno del nostro cervello un movimento elettrico costante e a bassa intensità che, provocando distress, sprona la persona a mettere in atto comportamenti correttivi di allontanamento o evitamento dell’esperienza spiacevole.

In altre parole, se non provassimo questo tipo di emozioni, non avremmo nessun motivo per cambiare e, come un criceto sulla ruota, ripeteremmo lo stesso errore all’infinito.

Inadeguatezza, colpa, rabbia, tristezza e le altre emozioni legate all’umana fallacia hanno la funzione di aiutare la persona a ricordare l’errore e motivarla a fare in modo che certe situazioni non si ripetano.

La motivazione al cambiamento non è di per sé sufficiente a superare positivamente la crisi. Strategie alternative e nuove soluzioni richiedono, per essere generate, perseveranza, creatività e pensiero laterale. Queste soft skills sono alimentate da una gamma emozionale fonte di eustress; ossia da emozioni che liberano sensazioni piacevoli nell’organismo. Ne cito alcune che mi stanno particolarmente a cuore.

La sorpresa, ad esempio, è fondamentale per l’arte di sbagliare. La sua funzione è di attirare l’attenzione della persona su un cambiamento nell’ambiente di vita. Possiamo apprendere da un nostro errore a condizione che ce ne accorgiamo e ne riconosciamo la responsabilità.

Curiosità è un’altra emozione positiva che facilita l’apprendimento. Questa emozione, infatti, fa sì che la persona resti in osservazione attenta dello sbaglio appena commesso cercando di conoscerlo nei dettagli e di separarne gli aspetti positivi da quelli negativi da modificare.

La serenità aumenta la capacità di attenzione, concentrazione e accettazione dell’errore.

L’orgoglio motiva all’assunzione di responsabilità rispetto allo sbaglio.

Il coraggio potenzia la perseveranza.

Divertimento e gioia aumentano il livello di motivazione allesame dellesperienza finalizzato allapprendimento .

In generale le emozioni che generano eustress aumentano la probabilità di agire comportamenti funzionali. In corrispondenza di sensazioni piacevoli, infatti, nel nostro cervello viene liberata una scarica elettrica, detta “picco herziale”, ad altissima intensità, ma di breve durata, che lascia una traccia nella memoria emozionale. L’impronta mnestica spinge la persona a ripetere quei comportamenti capaci di riprodurre esperienze simili. In altre parole, ogni volta che di fronte ad un errore riusciamo a trovare il modo di migliorare il nostro saper fare e noi stessi, proviamo emozioni positive che ci indurranno sempre di più a dare all’errore il valore positivo come fronte di crescita e progresso.

In conclusione, quindi, possiamo affermare che:

l’arte di sbagliare consiste nell’agire sull’esperienza prendendo consapevolezza dell’area di responsabilità che abbiamo in relazione all’evento critico, fidandoci del fatto che riconoscendo nostre alleate le emozioni che proviamo possiamo non ricadere nello stesso sbaglio ma trovare nuovi modi per risolvere le difficoltà

Note bibliografiche

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Calvenzi a., Orlando R., (2013), Il paradosso del successo. Tutto quello che bisogna perdere per poter vincere, Milano, Ponte alle Grazie editore.

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Goleman D., (1995), Emotional intelligence, Bantam Dell, New York; trad.it. Intelligenza emotiva: che cos’è e perché può renderci felici, (1996), Milano, Rizzoli.

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Maùti E., (2013) Sbagliando si impara. Trasformare il fallimento in una risorsa si può., Firenze, Giunti editore.

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Rosemberg M. B., (2011), Comunicare con empatia, Reggio Emilia, Ed. Esserci.

Arte by Catucci, Stefano – domenica, marzo 16, 2014 http://www.wikitecnica.com/arte/

Sant’Agostino DIpponia, (1994), Sermoni per i tempi liturgici, editori Paoline Editoriale Libri

 

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